Discorso del Presidente della Repubblica all’Arsenale della Pace

Discorso del Presidente della Repubblica all’Arsenale della Pace

Vi ringrazio per la vostra accoglienza. Vi ringrazio per le parole che avete pronunciato; e per i gesti che abbiamo compiuto insieme.

Adesso anch’io, come già altri presidenti della Repubblica prima di me, posso sentirmi parte della vostra comunità. E posso condividere le parole che Sandro Pertini – trentuno anni fa – affidò a Ernesto Olivero: nei “volti sereni” di questi giovani, scrisse, “nei loro canti gioiosi ho visto l’Italia dell’avvenire”.

Oggi mi avete fatto davvero un grande dono. Abbiamo vissuto insieme momenti di serenità e di riflessione, che ricorderò.

Abbiamo bisogno di tenere sempre vigile la nostra coscienza per affrontare le responsabilità. Per questo è stato importante confrontarsi sulle ragioni della vita, parlare di grandi ideali, proporsi insieme di raggiungerli.
Ernesto Olivero, nel suo intervento iniziale, ha ricordato alcune grandi personalità che sono passate dall’Arsenale della Pace. Ne conoscevo bene una: Benigno Zaccagnini. Per me è stato importante seguire la sua vita. Come una lezione.

Nel suo ultimo discorso pubblico, a Cesena, pochi giorni prima di morire, fece questa considerazione: “La politica è cercare di capire le grandi cose. Per dare ad esse un senso. Per intervenire possibilmente affinché si svolgano secondo un fine, nella consapevolezza che tutto è strumento (anche il partito è strumento) e lo strumento si nobilita in relazione al fine che si vuole raggiungere”.

La politica smarrisce il suo senso se non è orientata a grandi obiettivi per l’umanità, se non è orientata alla giustizia, alla pace, alla lotta contro le esclusioni e contro le diseguaglianze.

La politica diventa poca cosa se non è sospinta dalla speranza di un mondo sempre migliore. Anzi, dal desiderio di realizzarlo. E di consegnarlo a chi verrà dopo, a chi è giovane, a chi deve ancora nascere.

La corruzione, il potere fine a se stesso, sono conseguenza di una caduta della politica. Di un suo impoverimento. I giovani si allontanano e perdono fiducia perché la politica, spesso, si inaridisce. Perde il legame con i suoi fini. Oppure perde il coraggio di indicarli chiaramente.

La politica scompare se si chiude solo nel tempo presente. Se perde la capacità di guardare al futuro.
Naturalmente, deve esser chiaro, la politica è anche concretezza. Senza la capacità di affrontare i problemi di oggi, senza il proposito di ridurre i danni, di sanare le ferite sociali, di andare incontro ai bisogni materiali, la politica non sarebbe capita e le istituzioni finirebbero nel discredito dei cittadini. Il presente è una prova di umiltà per la politica, perché la costringe a tradurre, faticosamente, i principi in scelte concrete.

Ma si deve fare ciò che è possibile oggi, tenendo, comunque, alta la testa sul domani e coltivando sin d’ora il progetto di un futuro migliore.

Per questo c’è bisogno di voi giovani. Non tiratevi indietro. E soprattutto non rinunciate ai vostri ideali di umanità e di giustizia.

Non ascoltate le sirene che cantano il denaro come misura unica del successo personale. Su quella strada vi è il rischio di essere disposti persino a tollerare i traffici illegali di rifiuti, di armi, persino di esseri umani. Il vero successo è costruire un mondo di pace e di giustizia.

La vostra prova di concretezza, mentre discutete e lottate per un mondo più giusto, sta nel partire da voi stessi. Ciò che chiediamo agli altri, ciò che pretendiamo dalla comunità, dobbiamo essere capaci di realizzarlo nella nostra vita, a partire dalle persone che ci sono vicine.

Il perdono è una chiave di umanità. Non è un sentimento da uomini deboli. Al contrario, è una prova di grande forza interiore. Perdonare vuol dire donare totalmente.

E’ il dono, la gratuità che genera società, che contrasta la violenza, che consente all’umanità di progredire. L’odio moltiplica l’odio.

Il dono, invece, apre alla vita. E il perdono lo fa con una forza molto più grande. Ricordate il brano evangelico: “Se amate quelli che vi amano che merito avete?”
La campana è risuonata per farci diventare operatori di pace. La pace che nasce dalle opere di solidarietà e di giustizia. La pace che nasce dalla coerenza, dalla legalità, dal rispetto dell’altro, dall’amicizia, dal far proprie le speranze e le esigenze degli altri.

La pace che nasce dalla fatica di dire no quando è necessario. E di dire sì quando è impegnativo.
Il perdono non cancella la memoria. Né la ricerca della verità. Le ferite lasciano delle tracce sulla nostra carne. La violenza non va dimenticata, anche perché ricordare deve servire a non ripetere più. E tuttavia la riconciliazione – che muove da coscienze mature – consente di costruire di nuovo dove c’erano le macerie.

Partire da noi stessi, dalla nostra coscienza, dall’amico che ha bisogno e ci sta accanto. E, al tempo stesso, guardare in avanti, compiere uno sforzo per osservare l’orizzonte più lontano. Dobbiamo fare entrambe queste cose. Così aumenterà la nostra voglia di cambiare la società.

Saremo tutti migliori se il vostro entusiasmo contagerà gli altri. Datevi da fare, perché ai giovani spetta il futuro. Se i giovani non irrompono nelle abitudini degli adulti, e qualche volta scombinano i loro piani, difficilmente le cose andranno meglio.

Voi avete trasformato un Arsenale di armi in un Arsenale della Pace. Ecco, questa impresa così difficile, faticosa, complessa rappresenta bene ciò che volevo dirvi. Tenere insieme il lavoro concreto, minuzioso di solidarietà con una semina che riguarda invece il mondo intero.

Oggi il mondo è lontano dal sentiero di Isaia: quello che conduce a trasformare le spade in aratri e le lance in falci. Ma non dobbiamo scoraggiarci. Dobbiamo essere capaci di aiutare e accogliere chi fugge dalle guerre, dalla fame, dalle persecuzioni. Ma dobbiamo anche contrastare gli sfruttatori, i violenti, le strutture che producono guerra.

Dobbiamo cooperare per uno sviluppo diverso e sostenibile, perché bisogna aiutare i Paesi dai quali oggi fuggono i migranti a dare lavoro e prospettive ai loro cittadini. Solo cambiando le relazioni politiche ed economiche tra gli Stati e tra i continenti si potranno evitare esodi sempre più grandi e i drammi spaventosi cui spesso assistiamo.

Le guerre vanno estirpate dall’umanità. A questo obiettivo non possiamo rinunciare mai. Anche se non lo vedrò pienamente realizzato, devo fare in modo che mio figlio possa perseguirlo. E vederlo più vicino.

La pace – come avete detto – presuppone la giustizia. Non c’è pace nello sfruttamento e nella schiavitù. Oggi si rischiano nuove schiavitù, alcune delle quali sono invisibili ma non per questo meno gravi. Una di queste schiavitù è la droga: non dubitavo che ne foste consapevoli.

La coscienza deve restare libera. La libertà inizia da lì. L’omologazione è una prigione, anche quando ha le sembianze seducenti della moda del momento.

Siate liberi e non abbiate paure di dire qualcosa di scomodo, fuori dal coro, o apparentemente impossibile, quando gridate e cantate per la fratellanza tra gli uomini, per la pace.

Il mondo siete voi. Come qui all’Arsenale. In definitiva, nessuno deve sentirsi ospite a casa sua.

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