L’Expo di Milano non è, e non potrebbe essere, un appuntamento di routine. Si tratta di una grande responsabilità: il compito che ci siamo assunti va esercitato con il massimo impegno.
Il sistema Paese deve essere consapevole di avere, con l’opportunità rappresentata dall’Esposizione Universale 2015, la possibilità di misurare se stesso, sul piano della elaborazione di idee e sul piano delle capacità realizzative.
Non può andare delusa la sfida rappresentata dall’approntamento di sistemi, infrastrutturali e logistici, complessi; in grado di rappresentare veri e propri hub di innovazione, preziosi e di traino per lo sviluppo.
Un patrimonio concettuale, progettuale, di design creativo, di attività manuali è stato chiamato all’azione.
Il quadro infrastrutturale italiano, spesso non omogeneo dal punto di vista qualitativo e della interconnessione con i sistemi internazionali, non può che uscire rafforzato da una sferzata di vitalità.
Il tema centrale prescelto ”l’alimentazione, energia per la vita”, rappresenta una delle sfide di base per la sopravvivenza del genere umano.
Un’ occasione feconda per ridefinire opzioni su materie come i suoli ed il loro uso, l’acqua, l’equilibrio ecologico, la ricerca, le relazioni e gli scambi internazionali; temi tutti sui quali l’Italia è chiamata a concorrere alla individuazione di politiche più adeguate, sia in sede comunitaria, sia nelle sedi multilaterali a ciò dedicate, a partire dalla Fao al Wto, sia nelle sedi bilaterali opportune.
E’ un lavoro che ha visto impegnate e impegna, in queste settimane cruciali, tanta parte del Paese. La tappa di queste due giornate, parte del percorso di avvicinamento all’evento, conferma la mobilitazione di risorse, anzitutto intellettuali, destinate a questo scopo.
E’ l’intera Italia che guarda ad Expo 2015. Le ultime giornate preparatorie (è storia ricorrente di ogni esposizione universale), sono le più affannose. Una corsa per completare i padiglioni, e le proposte che ciascun Paese, e ciascuna organizzazione presente, intende avanzare all’attenzione di un pubblico, a un tempo, qualificato e curioso.
Expo può essere paragonato ad un grande convoglio che fa irruzione sulla scena nazionale, e mondiale, per disseminare intorno a sé messaggi e contenuti che vogliamo positivi.
L’industriosità italiana.
L’innovazione e la capacità di competere.
La coesione del sistema istituzionale, politico e imprenditoriale.
L’espressione compiuta di energie presenti nella nostra società e in grado di coordinarsi intorno ad un progetto multidisciplinare.
La capacità della Pubblica amministrazione di operare, con tenacia e trasparenza, contro i tentativi di inquinamento e corruttela.
La conferma che non servono generiche esortazioni, quanto, piuttosto, la mobilitazione ostinata e perseverante delle risorse della società italiana.
L’ascolto delle ragioni degli attori presenti sulla scena internazionale su materie tanto sensibili come il cibo e l’alimentazione.
L’attenzione alle ragioni di tutti gli stakeholders interessati: dalle popolazioni indigene delle zone umide, a quelle colpite dalla siccità nel Sahel; dal ruolo dei movimenti contadini dei senza terra, alle innovazioni di cui sono portatrici le grandi multinazionali, alle attività dei centri di ricerca.
Il diritto al cibo collegato all’utilizzo di risorse rinnovabili e sostenibili.
L’incontro rispettoso tra livelli di sviluppo diversi delle comunità e nei rapporti di scambio tra produttori e consumatori.
‘Energia per la vita’ recita la declinazione del tema di Expo 2015: entra qui immediatamente la nozione di spreco (scarto, l’ha definito Papa Francesco).
E’ questione tutt’altro che periferica nel dibattito.
E’ la contraddizione tra le diseconomie e le disuguaglianze esistenti nelle società più ricche, in grado di provocare i contrastanti fenomeni della denutrizione e della malnutrizione e il dramma della fame che affligge moltitudini di bambini, donne, uomini.
Mangiare (e mangiar sano) per vivere. Difficile non intravedere in questo una delle sfaccettature del più complesso diritto alla vita.
Dunque l’impegno di tutti, dai singoli sino alle istituzioni globali, dai comportamenti produttivi e di consumo, via via, sino alle convenzioni internazionali, va orientato in questa direzione.
La funzione oggettiva di Expo è di essere un veicolo efficace di elaborazione culturale e di promozione educativa.
La riflessione sviluppata nel laboratorio, al quale si è dato vita, in parallelo con la preparazione dell’evento, è attività preziosa, in grado di far crescere, in stretto dialogo con le organizzazioni internazionali deputate a queste finalità, nuove intenzioni e idee, più aderenti a un mondo di uguali.
Opportunamente il confronto ha coinvolto tutti i protagonisti: la sfida è globale.
Realizzazione dei sistemi di produzione e consumo, logistica e distribuzione, rapporto tra ricerca ed agricoltura, funzionamento dei mercati, sostenibilità ambientale e rapporto con i territori, salubrità e stili di vita, educazione alimentare, sono le questioni aperte; e sulle quali si è anche soffermato, nel suo intervento, il Presidente Prodi.
L’accentuata instabilità in cui vive oggi il mondo, e l’instabilità presente nelle nostre società, trovano proprio su tematiche come la disponibilità di risorse alimentari, e anche energetiche, uno dei principali motivi di tensione.
Fattori economici, fattori ecologici, fattori politici stanno congiurando per dar vita ad una sorta di tempesta perfetta, con potenziali effetti devastanti, di cui si scorgono già alcune preoccupanti anticipazioni.
Ieri soprattutto il cibo, oggi l’acqua e l’energia, diritti delle genti, sono chiave di conflitto. L’incontro su di essi è, quindi, contributo alla pace.
Quattro parole chiave presiedono a questo incontro: bellezza, saper fare, innovazione e vivaio.
Si impone, prima di ogni altro, il grande ammaestramento che viene dal paesaggio agricolo italiano.
La bellezza della natura, il lavoro plurisecolare dell’uomo hanno fatto del paesaggio agricolo del nostro Paese qualcosa di inimitabile, con esempi di alto equilibrio tra coltivazione del suolo e salvaguardia ambientale. I grandi scenari di altri Paesi ci propongono, egualmente, esempi di questo tipo.
Di contro, si presenta la drammatica situazione di uno sfruttamento cinico, e senza futuro, di aree importanti: penso, anzitutto, alla Terra dei Fuochi, emblema del degrado.
Il contesto in cui si svolge Expo 2015 è certamente unico e costituisce elemento di un’accoglienza italiana che contestualizza nell’ambiente (sia rurale sia urbano), un patrimonio artistico senza eguali al mondo. L’orgoglio di poter proporre tutto questo, unito alla cultura del cibo, che ha trovato, in Italia, espressioni di alto livello, rappresenta uno stile di vita che è espressione culturale, messaggio permanente, elemento attrattivo non certo secondario dei flussi di visitatori del nostro Paese.
Motore di tutto questo è il saper fare. Vale a dire, come ho ricordato poc’anzi, la messa in rete dei saperi e delle capacità imprenditoriali, di ricerca, di applicazione, delle diverse filiere nelle quali si articola la ricchezza di talenti italiani. Tutto questo unito al gusto dell’innovazione.
L’immagine dell’Italia che viene sovente proposta è quella di un Paese di sommi cesellatori. In altri termini, chiamati a lavorare sul lavoro altrui, capaci di perfezionarlo. Non è adeguata.
La cultura plurisecolare che si è sedimentata in Italia non è soltanto questo ma, specie in ambito artistico, si è caratterizzata per il coraggio della discontinuità, dunque dell’invenzione, della progettazione ex-novo, della ricerca oltre i confini conosciuti, con esempi di grande interesse anche qui a Firenze, come ha ricordato il Sindaco Nardella.
E, con il coraggio della discontinuità, forse è il caso di non ritrarsi di fronte alle innovazioni anche radicali, ma di pensare ad esse come necessità di guardare al futuro con nuovi criteri, senza la nostalgia di esperienze ormai usurate.
L’ambizione alla quale è legittimo aspirare è quella che la somma di condizioni, e le esperienze, che si accumuleranno con l’Expo, possano rappresentare un modello a livello internazionale di buone pratiche. Incluse, all’indomani della chiusura dell’evento, quelle relative all’utilizzo di aree, infrastrutture, saperi e professionalità maturate. Un appuntamento al quale occorrerà prepararsi con analoga intelligenza e impegno.
Il vivaio – la quarta parola chiave – è parte di tutto questo: un’esperienza feconda che dissemina in tutto il tessuto effetti benefici, destinati a riprodursi nel tempo.
Per questo la sfida è importante.
Se il risultato, come tutto sembra indicare, sarà positivo, ad avvantaggiarsene sarà il capitale sociale del Paese, bene collettivo, che ne uscirà arricchito non soltanto nella dimensione infrastrutturale ma in quella, ancora più rilevante, della creazione dei saperi.