La riforma del Senato rappresenta un passaggio molto rilevante nel percorso di cambiamento impostato in questa legislatura dal Governo Renzi. Questa riforma è parte di un processo che punta a rendere più efficace l’azione legislativa, un processo che dovrà condurre a produrre norme in tempi più brevi e ad evitare la duplicazione nella fase di formazione delle leggi determinata dal bicameralismo paritario che i padri costituenti avevano scelto di adottare nella nuova Repubblica uscita dalla guerra e da venti anni di dittatura fascista. Il doppio passaggio garantiva equilibri e generava sicurezza, faceva sì che la diversa composizione delle Camere avesse peso e che nelle letture che si susseguivano si potesse dare ruolo alle posizioni in campo, armonizzando sensibilità diverse attraverso garanzie costituzionalmente riconosciute. Si trattava di mettere in campo tutti i possibili deterrenti per evitare squilibri antidemocratici, visti i ricordi brucianti e troppo recenti. Una Costituzione che rispondeva alla fase storica di cui era espressione, una Costituzione la cui seconda parte accoglieva e mediava tra timori e memorie di sofferenze di popolo. Consentitemi colleghi questo piccolo richiamo alla nostra storia per dire che tra le ragioni che hanno giustificato il bicameralismo vi è stata:
1) quella di evitare la concentrazione del potere in un’unica assemblea e di crearne quindi una seconda che agisse da freno o che svolgesse un ruolo politico di conservazione (una camera di contrappeso);
2) quella di avere una maggiore ponderazione delle leggi e, quindi, una migliore elaborazione attraverso l’esame da parte di due assemblee. Segue