“Il costo sociale della violenza sulle donne in Italia”

“Il costo sociale della violenza sulle donne in Italia”

Rosanna Pilotti, membro della Consulta pari opportunità fiorentina, ha condiviso con me il testo del suo bellissimo intervento sul costo sociale della violenza sulle donne, frutto di un mirabile lavoro di sintesi e approfondimento sulle ricadute per gli Enti locali, partendo da un’indagine condotta da Intervita onlus.
Lo pubblico integralmente di seguito, perché merita davvero una condivisione quanto più estesa.

Prima indagine sul costo sociale della violenza sulle donne in Italia

Intervita onlus ha presentato il 21 novembre a Roma i risultati dell’indagine ‘Quanto costa il silenzio?‘ sul costo sociale della violenza sulle donne in Italia.

Una ricerca inedita che per la prima volta esamina e quantifica i costi per le vittime e per la collettività: 16.719.540.330 euro complessivi, distribuiti tra:

costi  per la salute delle donne (costi sanitari, per cure psicologiche, acquisto dei farmaci)

costi per la sicurezza delle donne e della collettività (costi per l’ordine pubblico, spese giudiziarie, spese legali)

costi per l’assistenza alle vittime e ai loro familiari (costi dei servizi sociali dei Comuni – stimati in 154,6 milioni di euro –  e dei Centri antiviolenza – calcolato in 7,8 milioni di euro)

costi collegati alla perdita economica di imprese e uffici in generale (assenze dal lavoro ed effetti moltiplicatori conseguenti)


A questo si aggiunge il costo emotivo ed esistenziale caricato sulle vittime e sulle loro famiglie, quantificato in circa 14 miliardi di euro
.

Costi in grado di incidere notevolmente sulle possibilità di sviluppo di una società, sotto il profilo della qualità della vita, economico e anche della partecipazione democratica, sono le conclusioni, in estrema sintesi.

La stima delle contromisure prodotte dalla società a titolo di contrasto e prevenzione, sotto forma di investimenti in capitale umano è, per il 2012,  di 6,3 milioni di Euro (secondo i risultati restituiti dalla banca dati di google con chiave di ricerca “*violenza*donne”).

Queste le cifre che sono nelle prime due righe della prefazione alla ricerca: che effetto vi fa?

“Che effetto fa avere su un foglio bianco una misurazione, fino ai decimali, del danno economico e sociale che un Paese come l’Italia sopporta ogni anno perché gli uomini umiliano, picchiano, uccidono le donne?”

Volete un raffronto? Lo stanziamento iniziale per la sanità pubblica nel 2012 è stato di 112 miliardi di euro. Quanta parte di questa spesa  può dipendere da problemi di salute conseguenti a violenza sulle donne?

Non abbiamo mai ragionato in questi termini, adesso dobbiamo avere il coraggio di farlo, perché  – non occorre più dirlo di fronte a queste cifre – la violenza contro le donne non è un fatto privato e non riguarda solo le donne. E’ importante sottolineare che la ricerca di Intervita  prende il via dall’unica indagine nazionale sul fenomeno svolta dall’Istat nel 2006 e rivolta solo a donne italiane e che mette in evidenza la necessità di una “misurazione continua e coordinata dei fenomeni”. “L’intervento pubblico a contrasto della violenza contro le donne, è già legittimato da ragioni d’ordine umano, civile e sociale, ma si può migliorare solo ciò che si è in grado di misurare”; perciò è necessario “raccogliere dati affidabili e comparabili per poter svolgere un monitoraggio continuo e costruire indicatori adeguati per poter costruire una strategia politica efficace, che preveda budget e programmi specifici per i servizi di contrasto alla violenza”. La stessa Convenzione di Istanbul invita a raccogliere a intervalli regolari dati statistici.

Una stima, seppure approssimata per difetto, può servire a ridefinire le priorità di spesa e di investimento.

Bisogna puntare sulla prevenzione:la ricerca mette in evidenza che “le risorse stanziate per la prevenzione della violenza comportano netti risparmi  ( e io aggiungo soprattutto risparmi di vite umane) rispetto a quanto il sistema pubblico è costretto a spendere una volta che la violenza viene agita”. Occorrono modelli scientifici di rilevazione del rischio;  la task force interministeriale vi sta lavorando anche allo scopo di mettere a disposizione degli Enti locali, dei Centri Antiviolenza e delle Associazioni strumenti di prevenzione  e di gestione del rischio. Teniamone conto.
Da ultimo, le norme: la più recente, la L.119/2013 prevede specifici stanziamenti nel Piano triennale contro la violenza, ma molti aspetti fanno discutere e sono senz’altro da rivedere.

Per quanto riguarda le competenze degli Enti locali, il D.Lgs.112/1998 e la Legge quadro 328/2000 forniscono la definizione di “servizi sociali”,  e dalla lettura se ne deduce che gli interventi  dei servizi nei confronti di donne che hanno subito violenza vi rientrano a pieno titolo, tuttavia  non esiste una previsione normativa che indichi dei servizi standard che i Comuni devono mettere a disposizione delle donne vittime di violenza; pertanto le azioni e gli interventi sono molto variegati, a seconda dei territori e della sensibilità delle Amministrazioni. Occorre pertanto che  il legislatore intervenga.

Al riguardo, concludo rivolgendo una domanda che pongono gli autori della ricerca: “le azioni di prevenzione e contrasto sono un costo o un investimento in capitale umano che produce  un ritorno sociale  e di benessere collettivo?”

Le risorse per prevenire e contrastare la violenza sulle donne dovranno essere considerate spese correnti  o investimenti?

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