Università e ricerca: finalmente un Ministero dedicato

Università e ricerca: finalmente un Ministero dedicato

Questa che segue è la mia dichiarazione di voto di oggi sull’istituzione del Ministero dell’Università e la Ricerca.

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L’istituzione del Ministero dell’Università e della Ricerca è una buona notizia.

Già da molto tempo ormai gli esperti e gli operatori del comparto Istruzione e Ricerca ritenevano che un unico Ministero, il Miur, non fosse adeguato a gestire l’enorme carico di competenze derivanti dal complesso mondo della formazione e della ricerca.

Il cosiddetto spacchettamento tra i due ministeri ha avuto fasi alterne nella storia del nostro paese dagli anni ’80 in poi. 

Ci sono stati lunghi periodi in cui le competenze sono state accorpate all’interno di un unico Ministero e altri in cui il Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica ha avuto vita autonoma.

Si tratta di riprendere l’intuizione del Ministro Ruberti che nel 1989, con la legge 168, promosse l’istituzione del Ministero dell’Università e della ricerca scientifica e tecnologica (MURST) cui è affidato il compito di coordinare il tavolo per la definizione del Programma Nazionale della Ricerca e di svolgere, nell’ambito dell’apposita commissione per la ricerca del CIPE, funzioni di coordinamento e impulso della politica nazionale da raccordare con lo sviluppo degli strumenti regionali nell’ambito di un quadro più ampio come quello comunitario.

Quando nel 1999 il ministero torno ad essere unico queste funzioni di fatto non sono più state svolte.  

Lo sanno gli addetti ai lavori. Lo ha sostanzialmente detto persino la Corte dei Conti in una deliberazione della sezione di controllo (n.3/2012) sul fondo ordinario enti di ricerca. È mancata quella funzione di raccordo e indirizzo in Consiglio dei Ministri che dovrebbe dare al Ministro dell’Università e della Ricerca un ruolo strategico pari al Ministro dell’Economia.

Forse l’integrazione dei Ministeri non è stata l’unica causa del fallimento di questo metodo, ma non c’è dubbio che non ha favorito lo sviluppo di una politica nazionale di medio lungo periodo per la ricerca e non ha evitato il proliferare di interventi disorganici e frammentari che hanno riguardato il sistema dell’Università e della ricerca pubblico e privato.

Oggi il Governo ha scelto di cambiare passo. Atti concreti per creare le condizioni necessarie per riportare al massimo livello decisionale le scelte sull’Università e sulla ricerca.

Non si parte da zero. Seppur con difficoltà per i continui tagli, a livello centrale il Ministero unico ha fatto comunque importanti esperienze. Tuttavia oggi un Ministero ad hoc valorizza l’autonomia del sistema dell’Università e della ricerca, per assicurare un equilibrato sviluppo del Paese, riducendo le distanze tra nord e sud, e per rendere sinergici gli investimenti fatti a livello nazionale in coerenza e raccordo con le azioni sovranazionali e regionali. L’innovazione parte dal territorio ma servono azioni di coordinamento e indirizzo strategico a livello nazionale e con l’Unione europea.

A livello centrale investimenti su attività di ricerca e sviluppo tecnologico sono già nel bilancio dello Stato a sostegno di tutte le politiche. Dai programmi per la tutela della salute, agli interventi in agricoltura; dalle attività di ricerca e innovazione per l’energia e l’ambiente alla difesa, ai trasporti, alle comunicazioni, fino ad arrivare agli interventi per la tutela del territorio per il rischio idrogeologico. Per non parlare della ricerca per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali. Insomma, per tutte le politiche la ricerca è un investimento strategico.

L’istituendo Ministero dovrà effettuare quell’attività di indirizzo, raccordo e coordinamento istituzionale che è solo sulla carta da anni e creare le condizioni per investimenti di lungo periodo che valorizzino le eccellenze del Paese a partire dai ricercatori che non possono essere considerati solo quando isolano un virus come il “precario del giorno”.

Tanti ricercatori validi stanno lavorando anche questa mattina nel Paese senza peraltro sapere quanto l’investimento fatto dalla collettività, per sostenere il loro percorso di formazione e professionalizzazione, e quanto il loro investimento personale in termini di scelte di vita potrà trovare riconoscimento adeguato.

Noi riteniamo che lo scorporo garantisca una maggiore funzionalità ed efficacia negli interventi e dia risposte proprio a questi interrogativi.

L’attuale scelta del governo vede protagonisti il ministro Manfredi e la ministra Azzolina, due figure esperte che si trovano a fronteggiare una serie di sfide, risalenti negli anni, che riguardano lo sviluppo e la competitività del nostro paese.

Ne cito solo alcuni. Per quanto riguarda il Ministero dell’Istruzione la sicurezza degli edifici scolastici, l’edilizia e i nuovi cantieri per le scuole da adeguare alle nuove tecnologie, gli investimenti per gli asili nido e le scuole dell’infanzia, in particolare nel Sud d’Italia, le misure contro la dispersione scolastica con l’apertura pomeridiana, le modalità di incremento del Piano nazionale della Scuola digitale, già previsto dalla riforma della Buona Scuola.

Sullo sfondo delle azioni immediate si dovrà porre attenzione ai grandi problemi strutturali, quali quelli della formazione dei docenti, misura urgente e imprescindibile per una scuola adeguata ai nuovi tempi.

Molte iniziative quindi da intraprendere. Azioni coerenti con la nostra idea forte che è quella della priorità della scuola, individuata accanto al sistema dell’alta formazione e della ricerca, come tassello essenziale per la crescita del paese. Una scommessa che il governo che sosteniamo siamo certi porterà a buon fine.

Per quanto riguarda il Ministero dell’Università e della ricerca, al ministro Manfredi il compito di sciogliere i tanti nodi irrisolti e delicati del Dicastero di sua competenza, a partire dai fondi per la ricerca e passando attraverso il complicato e sempre insufficiente dossier del diritto allo studio. Fino all’altra questione di estrema complessità che è quella della cosiddetta “fuga dei cervelli”. Servono più fondi per l’Università e la ricerca per giungere, come lo stesso Ministro ha dichiarato, a quel grande investimento sui giovani necessario perché le migliori energie italiane e anche estere riescano a trovare casa nei nostri atenei e nei nostri enti di ricerca.

Per quanto riguarda il diritto allo studio, sono stati di grande aiuto gli interventi nella scorsa legge di bilancio. Ma il tema rimane. Vediamo la necessità di ampliare il fondo dedicato e di caratterizzarsi come paese per la capacità di dare pari opportunità ai ragazzi meritevoli e meno abbienti.

Urge affrontare il tema dei ricercatori precari, ancora troppi nel nostro sistema, spesso senza prospettive. Riconoscere il lavoro e l’eccellenza dei nostri laboratori scientifici e dare loro linfa per muoversi con orgoglio nel contesto internazionale è un imperativo categorico, qualcosa che non può più attendere. La legge sul reclutamento dei ricercatori di iniziativa parlamentare, che stiamo già discutendo in Commissione Settima, è una buona risposta per avviare nuovi ed efficaci equilibri all’interno dei nostri atenei, in quanto mira a creare le condizioni per un netto ridimensionamento dei tempi di permanenza dei nostri giovani nella condizione di precari con contratti a tempo determinato ed avvia percorsi di stabilizzazione attraverso concorsi banditi con regolarità.

In quanto ai fondi destinati alla ricerca scientifica e tecnologica non si può negare che la situazione nel nostro paese non sia certo florida, nonostante alcune iniziative lanciate in anni recenti dai passati governi quali ad esempio il piano Industria 4.0, gli incentivi fiscali per la ricerca privata e i finanziamenti per quella universitaria e degli enti di ricerca. Ma ancora non basta. Se la spesa per la ricerca pubblica e privata in Italia è diminuita è evidente che è successo qualcosa che indebolisce il sistema, ossia che le attività di ricerca di molte imprese sono state trasferite all’estero. Le politiche di austerità dovute alla crisi hanno inoltre ridotto la spesa pubblica per la ricerca e l’Università e così migliaia di giovani ricercatori altamente qualificati stanno lasciando il paese per cercare lavoro all’estero.

L’indebolimento del sistema universitario rischia di condurci in tempi brevi a un’economia in cui prevalgono le tecnologie di livello medio-basso, con bassa produttività e una modesta domanda di lavoro per laureati da parte delle imprese. A questo trend dobbiamo aggiungere il divario fra il nord e sud del paese negli investimenti in ricerca, con una penalizzazione delle regioni del centro Italia e del Mezzogiorno. Le attività di ricerca e sviluppo si sono concentrate nelle regioni più forti del Nord Italia.  Tale concentrazione ha messo in moto un grande flusso migratorio interno di studenti universitari e di laureati in cerca di occupazione, oltre che di lavoratori altamente qualificati. Per riequilibrare le asimmetrie territoriali e per prevenire un’ulteriore polarizzazione, è necessario un potenziamento diffuso del sistema ricerca. Ecco la nuova sfida che si pone al governo e che dobbiamo affrontare con forte determinazione rilanciando in ricerca e innovazione per recuperare crescita e occupazione.

Questo scenario richiede risposte urgenti e scelte che non possono essere di un singolo ministro, ma di un intero Esecutivo.

L’Istituzione del Ministero è un messaggio forte in questo senso. Significa che il paese vuole investire in questa direzione, avendo compreso che senza un buon sistema di ricerca pubblica in grado di essere competitiva, il paese si ferma. 

Mantenere i conti in ordine e contenere il debito pubblico è senza dubbio fondamentale per un Paese, ma tutto ciò non deve essere elemento di costrizione per il suo vero benessere che è la conoscenza a tutti i livelli, il sapere, la capacità cioè di produrre ricchezza, intesa non solo come capacità di produrre profitto economico, ma profitto culturale, scientifico e sociale.

Sappiamo quale deve essere la direzione da seguire, serve uno scatto dell’intera comunità. Quelle sulla formazione e sulla ricerca non possono essere intese come politiche settoriali, ma come politiche essenziali per lo sviluppo e la crescita di un paese moderno.

La legge che approviamo oggi racconta di un governo che vuole puntare su questo con un’organizzazione adeguata. Per tutti questi motivi dichiaro il voto favorevole del Partito democratico a questo provvedimento.