La vicepresidente del Senato: “mi impegno, personalmente e per la carica istituzionale che ricopro, ad ogni azione nelle mie possibilità perché la giustizia faccia il suo corso e genitori, parenti ed amici di Niccolò possano almeno sapere che una vita gioiosa non è senza valore”
Niccolò Ciatti era un gigante buono di soli 22 anni, adorato dai genitori e dalla fidanzata, amato da tutti quelli che lo conoscevano, ucciso dalla furia omicida di un altro giovane che sferra un calcio mortale al volto di un ragazzo già inerme. Un ragazzo che da lì a qualche ora sarebbe tornato a casa, in Italia, a Scandicci, per ritrovare la fidanzata che sognava di sposare. Uno che si dava da fare, Niccolò, che viveva in modo sano la sua vita, che ispirava fiducia a tutti, che non aveva fatto nulla per ritrovarsi all’improvviso davanti la fine dei suoi giorni. Da solo, tranne che per i suoi amici affranti che inutilmente avevano chiesto aiuto.
Ma si sono trovati circondati dalla disumanità, l’apatia e l’indifferenza di tantissimi coetanei stipati in cerchio intorno al palcoscenico di una aggressione selvaggia e di un’esecuzione sommaria. Spettatori di un pestaggio e di un calcio assassino ma non cieco, non inconsapevole e che non ha smosso nessuno. Nessuno ha scelto di intervenire o di frapporsi, tutti coloro che erano lì hanno evitato di sentire dovere morale e senso di umanità. Assuefatti ad una violenza consumata davanti ai loro occhi da altri giovani, giovani belve.
Ha ragione Luigi Ciatti, il papà del povero Niccolò, a voler denunciare una barbarie morale prima ancora che fisica, che tutti noi oggi possiamo vedere e che non dobbiamo dimenticare. Intanto la giustizia spagnola ha già scarcerato i due ragazzi che insieme all’assassino di Niccolò hanno partecipato all’aggressione. Complici che sembra siano già tornati in Francia, da dove arrivavano per la notte in discoteca.
Ed ecco che ancora, la rabbia oggi combatte non solo con la pietà ma anche con la giustizia, che non può restituire una vita ma può ristabilire il confine della verità e della responsabilità. E’ la giustizia, che deve ristabilire il confine della verità e della responsabilità. Che deve combattere per la sua parte quell’indifferenza agghiacciante che ha accompagnato la fine di Niccolò. Altrimenti davvero tutto è perduto. È per questo che mi impegno, personalmente e per la carica istituzionale che ricopro, ad ogni azione nelle mie possibilità perché la giustizia faccia il suo corso e genitori, parenti ed amici di Niccolò possano almeno sapere che una vita gioiosa non è senza valore.
E laddove non dovesse arrivare la giustizia degli uomini, deve arrivare la nostra volontà di non dimenticare, di non arrenderci alla disumanizzazione e alla paura. Chiunque dei ragazzi che era davanti quella discoteca, davanti al corpo esanime di Niccolò dovrebbe sentirsi disagio con la sua coscienza, dovrebbe sentire la sua parte di responsabilità. E penso che tutti i ragazzi che non erano lì ma che avrebbero potuto, i nostri figli, i nostri giovani, debbano guardare quel video, debbano pensare a Niccolò ma anche a loro. Chiedersi e chiederci che avremmo fatto se fossimo stati lì, davanti l’orrore.