« Signor Presidente, ricordare questo grande artista è anche motivo di commozione per me – mi scuso per questo “fatto personale” – perché ho conosciuto e abbracciato Giorgio Albertazzi più volte dietro il palcoscenico, alla fine dei suoi spettacoli. Egli era infatti un fiorentino e io sono stata assessore alla cultura, quindi mi è capitato spessissimo di averlo ospite nei teatri fiorentini e di vivere le emozioni tra il pubblico e con lui nel dopo spettacolo, qualche volta anche a cena, in cui, con quegli occhi vivissimi, egli raccontava che cosa era il teatro e ci faceva capire moltissimo di ciò che avevamo visto in scena. Un fiorentino di Fiesole, attore e regista, uomo complesso e difficile, ipercritico e intelligentissimo, appassionato polemista: un grande artista, di cui l’Italia può andare fiera. Una personalità artistica poliedrica, che cominciò con i fotoromanzi, per passare agli sceneggiati televisivi, di cui molti colleghi hanno parlato, al teatro – naturalmente – al cinema – anche se non troppo – fino ai varietà popolari e televisivi. Egli non evitava di andare anche agli spettacoli di varietà, perché per lui lo spettacolo era il centro della vita e dell’universo. Stare anche in questo tipo di spettacolo, sperimentarsi con tutte le nuove forme di spettacolo, naturalmente anche con quelle televisive, era una delle sue caratteristiche. Fu un uomo modernissimo, da questo punto di vista, un uomo di scena e di palcoscenico: senza il teatro non avrebbe potuto vivere. Il teatro è stato il centro della sua esistenza, di grande innamorato della vita, anche delle donne, del palcoscenico e del suo pubblico.
Un uomo che si caratterizzava perché era bello, bella voce, bella presenza, una dizione perfetta, una grande cultura (recitava Dante a memoria, lo sappiamo), una passione per il teatro che molto presto lo trasformò in un divo oltre che in un grandissimo attore.
L’amore per il palcoscenico nasce in un teatrino del Cinquecento sopra Firenze dove, ancora studente del liceo «Michelangelo»,qualcuno lo invitò a recitare. E poi stava nella villa di Bernard Berenson, il grande critico d’arte, e lì, nella villa «I Tatti» che oggi ospita l’Università europea, cominciò ad osservare il grande mondo che passava da quella villa internazionale, una villa dove il giovane Albertazzi scrutava da lontano, affascinato, i grandi personaggi che vi passavano. Poi sarebbe diventato anche lui protagonista di questo mondo.
Tutti avete parlato dell’esperienza che fece a vent’anni e del fascino che il fascismo esercitò su di lui, travolto dalla propaganda di quegli intellettuali, a partire da D’Annunzio, che tracciarono l’ideologia di quel movimento politico. Il ventenne Albertazzi ne fu coinvolto e pagò anche un prezzo caro con il carcere, ma lo avete già detto e quindi su questo non mi trattengo.
Era anche una sua caratteristica, una forza che aveva – lo diceva adesso il collega Gasparri – il non aver mai rinnegato le scelte fatte da giovane anche se erano scelte che devono inquadrarsi in quella particolare situazione. Anche in seguito, nonostante avesse questa sorta di matrice che di fatto ha sempre mantenuto, ha fatto altre scelte particolari. Ricordiamolo: è stato compagno di strada dei radicali nelle battaglie per l’aborto e per il divorzio, poi candidato alle politiche con il Centro-Destra nel 1996 quindi, di fatto, non so come potrei definirlo, anche dalle conversazioni private. o definirei una sorta di anarchico strutturale di destra, si potrebbe dire così. Uno che comunque era ipercritico un po’ su tutto. Mi viene in mente quel Leautaud di cui mise magistralmente in scena il diario che ricordiamo.
Voglio poi ricordare Luchino Visconti. Albertazzi partì con lui al Maggio musicale fiorentino nel 1949, l’avete già detto, e questo fu l’inizio e anche il modo di interpretare il teatro perché un incontro con Luchino Visconti ti cambia la vita e chi ha avuto l’occasione di lavorare con lui, naturalmente sa che si tratta di un’esperienza che cambia e cambia tanto.
Prima di concludere, Presidente, vorrei parlare di un’altra particolarità: lui amava Firenze, l’amava moltissimo e come tanti figli di Firenze aveva un rapporto di amore-odio con la città. Questo spesso capita ai grandi fiorentini e non importa citarli. Adesso ancora vivente c’è Zeffirelli con il quale faremo un grande progetto su Firenze, pensato anche un po’ da Albertazzi, cioè una grande scuola delle arti dello spettacolo proprio a «La Pergola».
Lui amava il teatro «La Pergola» che nel 1966, quando ci fu l’alluvione, venne allagato e allora volo giù da Milano e volle fare uno spettacolo in città e siccome «La Pergola» nei giorni dell’alluvione era sommerso dalle acque, andò al teatro dell’Oriolo. Volle fare spettacolo in quel periodo e lo fece al teatro dell’Oriolo con tantissima gente, con i fiorentini. Nel momento in cui, l’anno dopo, andò all’inaugurazione della nuova Pergola, egli disse: «il teatro per i fiorentini non rappresenta soltanto un’evasione, ma è, come deve essere, una necessità. Che la Pergola sia risorta così presto è un segno di grande vitalità dei fiorentini. È come se avessero detto: “prima il teatro”. E questo vuol dire moltissimo, vuol dire che il teatro è l’uomo. Ecco perché resiste a tutto, non soltanto alle altre forme di spettacolo come il cinema e la televisione (…), ma anche alle guerre, alle grandi calamità, ai cattivi attori, ai pessimi autori, alle sovvenzioni e alla tecnocrazia.
Perciò riaprire la Pergola, per noi fiorentini, non è soltanto un altro atto della ricostruzione della città, ma è soprattutto un modo per affermare che, malgrado tutto, ci siamo anche noi, vivi e vegeti, a dire la nostra».
Vorrei concludere con un’ultima frase di Maurizio Scaparro, un grande artista e un grande regista che ha diretto molte volte Albertazzi. Scaparro afferma: «Per lui recitare era la vita stessa, una sorta di medicina necessaria. Entrava in scena e il suo viso, la postura del corpo, la voce cambiavano, mostrando una forza che pareva impossibile dietro le quinte. Per me è stato il simbolo di quell’attenzione costante che ogni uomo del nostro tempo dovrebbe avere per il futuro del teatro. E per la sua necessità nella nostra vita. In questo egli era moderno. Moderno per la libertà, per l’entusiasmo e la curiosità, che lo rendevano giovane, anzi, senza età».
Concludendo, rispondo alla collega Montevecchi del Movimento 5 Stelle, che chiede che il nostro migliore omaggio possa essere quello di portare il prima possibile in quest’Assemblea la nuova legge sullo spettacolo. Sono molto d’accordo su questo.
Il Governo la sta predisponendo. Presto arriverà nelle nostre Aule. Spero davvero che il nostro migliore omaggio, signor Presidente, a un grande attore, anche regista, e a un grande artista possa essere una bella legge sullo spettacolo che gli renda onore” »