1. Ventiquattro
Tra qualche giorno il Governo compie due anni. Ventiquattro mesi come le ventiquattro slide che raccontano i primi risultati del governo: le trovate qui e vi sarei davvero grato di un commento. L’email per dirmi le vostre impressioni è sempre la solita: matteo@governo.it
Ventiquattro mesi racchiusi in questo video, che restituisce il sapore del viaggio.
C’è ancora molto da fare e lo faremo. Intanto grazie per la vostra fiducia, per il vostro affetto, per le vostre critiche. E se vi va fate girare queste slide su Facebook, su Twitter, via email agli amici. Perché la quantità di riforme realizzate è impressionante, ma diventa condivisa solo se arriva agli occhi e al cuore delle persone. E questo possiamo farlo solo insieme.
2. Una visione per l’Europa
La questione europea sta finalmente diventando chiara anche agli occhi dei commentatori più critici. Non significa battere i pugni sul tavolo, ma richiamare l’Europa al proprio destino, alla propria vocazione. L’Europa senza crescita è destinata a svanire, l’Europa senza valori è destinata a morire. Ne stiamo parlando a tutti i livelli, incontrando tutti i capi di governo (venerdì sera sono andato a cena dal premier olandese Rutte, venerdì prossimo ospito qui il cancelliere austriaco Faymann, la settimana dopo il premier incaricato spagnolo Sanchez). L’Europa deve recuperare una visione e l’Italia – finalmente uscita dalla crisi e dal tempo delle promesse vane può giocare un ruolo di stimolo molto importante.
3. Uno vale uno
In questo senso va letta la richiesta di scegliere i candidati alla presidenza della Commissione attraverso le primarie. È un modo per far entrare i politici in contatto con le persone, anziché solo con le tecnocrazie. È un modo per riavvicinare i cittadini alle Istituzioni. Vedremo se questa proposta sarà annegata nello scetticismo dei signori di Bruxelles o diventerà patrimonio condiviso della politica continentale. Io insisto. Del resto, noi sappiamo che le primarie sono un grande esercizio democratico. Lo abbiamo visto anche a Milano, la scorsa settimana: 61mila persone hanno scelto il proprio candidato. E abbiamo visto diluvi di comunicati stampa di critiche di persone che in vita loro hanno preso al massimo 180 clic su una piattaforma della Casaleggio e Associati Srl. Evidentemente abbiamo un concetto diverso di democrazia: noi ci teniamo il nostro. Del resto, se uno vale uno – come dicevano i grillini degli esordi, che ormai sono tutti espulsi, ma erano simpatici – sessantunmila vale sessantunmila. E comunque vale più di 180 clic. Nel frattempo complimenti, auguri e buon lavoro a Beppe Sala: ha saputo mettersi in gioco, dopo il trionfo dell’Expo. Non era scontato. Grazie per la passione e per la competenza a Francesca Balzani, Pierfrancesco Majorino e Antonio Iannetta. Un grazie particolare agli straordinari volontari del PD milanese (gente tosta!), al sindaco uscente Giuliano Pisapia e all’ottimo segretario provinciale del PD, Pietro Bussolati che ha fatto davvero un lavoro prezioso.
4. Le banche
Nel frattempo il mondo finanziario arranca. L’Italia non è l’epicentro della crisi, che purtroppo ha molte cause: petrolio, tensioni geopolitiche, paesi ex emergenti. Non è questa la sede per tornare a parlare di banche, lo faremo dopo che il Consiglio dei Ministri avrà approvato ulteriori misure per consolidare il sistema e incoraggiare i processi di trasformazione e fusione. Del resto, al netto delle scelte tattiche sull’immediato, il punto chiave è che il sistema bancario deve trasformarsi. Altro che le polemiche dell’opposizione, strumentali e ideologiche. In futuro ci saranno meno sportelli e più digitalizzazione, meno retail e più banche di investimento. Non è che accade tutto domattina, sia chiaro. Ma il percorso è questo. E come sempre compito della politica dovrebbe essere prevederlo e saperlo accompagnare. Il futuro, lo sappiamo, è di chi lo anticipa, non di chi lo rincorre. Noi ci proveremo fin dai prossimi giorni.
5. Unioni civili
Grande discussione, in Senato e nel Paese, sul tema delle unioni civili. Mi sembra di poter evidenziare che due punti chiave sono ampiamente condivisi. E ne sono felice!
Il primo è che la stragrande maggioranza degli italiani – pare di capire anche in Parlamento – vuole un istituto che legittimi le unioni civili anche per persone dello stesso sesso. È finita la stagione in cui nascondersi: i diritti (e i doveri) sono tali solo se sono per tutti. È un passo in avanti.
Il secondo è che la stragrande maggioranza degli italiani – pare di capire anche in Parlamento – condanna con forza pratiche come l’utero in affitto che rendono una donna oggetto di mercimonio: pensare che si possa comprare o vendere considerando la maternità o la paternità un diritto da soddisfare pagando mi sembra ingiusto. In Italia tutto ciò è vietato, ma altrove è consentito: rilanciare questa sfida culturale è una battaglia politica che non solo le donne hanno il dovere di fare.
Rimangono aperti altri punti su cui si confronterà il Parlamento, a partire dalla stepchild adoption: la ratio non è consentire il via libera alle adozioni ma garantire la continuità affettiva del minore. Non è il punto principale di questa legge, almeno non lo è per me. Allo stesso modo credo giusto che il Parlamento si pronunci anche su questo. Ho giurato sulla Costituzione e alla Costituzione ho il dovere di rispondere. È giusto che su questi temi si voti, dopo anni in cui si è fatto melina. Perché la politica che mette la testa sotto la sabbia, come lo struzzo, che finge di non vedere la realtà, non è una politica seria. Abbiamo mantenuto l’impegno di arrivare qui, a decidere dopo che per anni si è parlato di questi temi solo per avere due voti in più in campagna elettorale. Anche questo è il segno che qualcosa, in Italia, sta cambiando.
Pensierino della sera. Stanotte entrano nel vivo le primarie americane. Occhi puntati sul New Hampshire, dove otto anni fa Barack Obama pronunciò il più bel discorso della sconfitta mai sentito (perse la sfida con la Clinton e terminò con il meraviglioso Yes, we can, che poi divenne il simbolo di una trionfale campagna). Il mio primo ricordo di una campagna elettorale americana è il 1984, con un titolo di Ronald Reagan, il giorno in cui sconfisse Mondale: “Tornerò a casa, certo, ma tra quattro anni!”. Avevo nove anni. Poi il 1988 con l’arrivo al liceo classico Dante per scoprire dai compagni più grandi che aveva vinto Bush senior e non Michael Dukakis: non c’era Internet, non c’era la tv satellitare, si inseguiva il Televideo. Quindi il 1992, incollato diciassettenne sul divano di casa – con tanto di scuola marinata – a seguire il discorso di Bill Clinton, accanto ad Al Gore, mogli e figlie (tante). Nel 2000 la maratona notturna infinita e anche inutile tra Gore e Bush con la Florida in bilico: lavoravo distribuendo giornali e ricordo che nessuno immaginava il finale. Nel 2008 infine l’emozione della notte di Chicago e poi del giuramento di Obama vissuto con gli studenti americani di stanza a Firenze alla New York University. Insomma, scusate il pacchetto di ricordi che mi fanno capire che i capelli bianchi ormai hanno un senso (ma senza pensierino personale, l’enews non è una enews): il punto vero è che le elezioni americane, ogni cambio di presidente, incrociano momenti diversi della nostra vita. Ma segnano il futuro molto più di quanto possiamo immaginare. La corsa che si concluderà a novembre di quest’anno sarà decisiva. E noi già ci prepariamo ad accogliere in Italia il nuovo presidente (o la nuova presidente) nel G7 del 28 maggio 2017.
Un sorriso,
Matteo
Post Scriptum. Tra tanti rovesci della finanza, festeggiamo una piccola buona notizia. Una difficilissima vertenza sindacale, alla Saeco, a Gaggio Montano (Bologna), è stata risolta grazie al contributo di tutti: la ministra Guidi, il presidente Bonaccini, l’azienda, i sindacati. Oggi il referendum ha segnato una vittoria netta dei sì all’accordo. Avanti, tutti insieme.