Riporto di seguito l’ottimo intervento di Livia Turco, che condivido in toto, sul tema delle unioni civili e sull’importante dibattito che si è aperto in questi giorni nel partito e soprattutto nel Paese.
[l’Unità] È molto importante che il Parlamento approvi subito una legge sulle Unioni Civili consentendo così, finalmente, a persone dello stesso sesso di vivere una vita dignitosa, cancellando discriminazioni profondamente ingiuste.È importante il dibattito che si è aperto nel PD che vede posizioni diverse esprimersi e confrontarsi con reciproco rispetto e pacatezza. Proprio perché apprezzo lo sforzo delle senatrici e dei senatori e del gruppo dirigente del PD scrivo per porre quesiti al fine di rendere chiare le scelte compiute (almeno per me).
Vorrei, in premessa, ricordare a noi tutti l’esperienza di leggi come il diritto di famiglia, il divorzio l’aborto, contro la violenza sessuale. Ci insegnano, nella loro concreta applicazione, che è fondamentale la limpidezza dei valori e dei principi cui la legge si ispira e la chiarezza della mediazione che essa realizza tra i diversi valori in gioco.
Il punto su cui intervengo è quello controverso tra stepchild adoption e la maternità surrogata o utero in affitto. Molte e molti di quelli che hanno sollevato obiezioni o richiesto chiarimenti non lo hanno fatto strumentalmente per attaccare la legge ma per avere chiare le scelte che il legislatore compie. Per poterle condividere e sostenere di fronte all’opinione pubblica. Mi sia consentito di dire che troppe volte le risposte che ho ascoltato e letto mi sono parse elusive della preoccupazione sollevata. Si è detto e scritto che non c’è nessun rapporto tra le due questioni, che bisogna tutelare il supremo interesse del minore, che non bisogna lasciare ai tribunali le scelte, che bisogna guardare alle nuove forme di genitorialità. Tutti punti condivisibili ma che non chiariscono fino in fondo. Sono convinta che per crescere un bambino, se è preferibile la presenza di un padre e di una madre, tuttavia bisogna prendere atto positivamente del diffondersi di una genitorialità amorevole ed efficace da parte di coppie omossessuali. Pertanto, in una riforma della legge sulle adozioni, credo sia saggio regolamentare tale realtà.
L’adozione riguarda i minori in stato di abbandono: una condizione giuridica ed umana chiara rispetto alla quale il tribunale dei minori ed i servizi sociali devono valutare la capacità della coppia di crescere ed educare il bambino in modo armonico. In questo caso il valore in gioco è la capacità di amore e di cura della coppia. Nel caso della stepchild adoption si tratta di un figlio naturale di uno dei due partner della coppia omosessuale. Dunque i valori in gioco sono non soltanto la capacità di crescere il figlio e di amarlo ma la generazione del figlio. Se nelle coppie lesbiche è chiaro chi è la madre (una delle due componenti) nella coppia gay è lecito e doveroso porre la domanda: dov’è la madre? Ha rinunciato al figlio che è stato affidato al padre nel superiore interesse del minore? La madre è deceduta? O ci si è rivolti ad altre madri? C’è differenza tra usare l’espressione “procreazione” e quella di “generazione del figlio naturale”. Scrivere in modo chiaro “generazione del figlio naturale” credo sia essenziale per dimostrare che non c’è legame tra lo stepchild e l’utero in affitto. Credo inoltre sia utile ribadire in questa legge come in tutte quelle che attengono all’istituto della filiazione, il divieto della maternità surrogata. Perché se è vero che tale divieto è contenuto nella Legge 40 va detto che tale legge è stata così pesantemente destrutturata dalle sentenze della Corte Costituzionale da non avere l’autorevolezza e la forza di far vivere quel divieto sul piano culturale e simbolico oltreché su quello concreto. L’impatto della maternità surrogata sull’istituto della filiazione è talmente sconvolgente che il suo divieto va considerato un principio fondamentale da applicare in modo espansivo all’interno del nostro ordinamento ogni qual volta si intervenga sulla filiazione riguardante sia le coppie eterosessuali che omosessuali. Questa scelta normativa corrisponde ad una scelta valoriale molto netta: no, sempre e comunque, alla maternità surrogata.
È stato un passaggio epocale la elaborazione della maternità come relazione madre e figlio che ha il suo inizio nel grembo materno, grembo fisico e psichico. Quella relazione forma la personali tà del figlio, è ciò che gli dà la vita non solo perché lo fa nascere ma lo nutre di un nutrimento fondamentale per la sua crescita che è la relazione d’amore. Riconoscere la madre, riconoscere la maternità come relazione umana primaria e di primaria importanza significa riconoscere un bene essenziale per il figlio e non solo ribadire l’autorevolezza della madre e la sua centralità nel processo generativo e di filiazione. La maternità surrogata cancella tutto questo, riduce il grembo materno a contenitore fisico che toglie autorevolezza alla madre arrecando un danno al figlio. Ancora più grave se si considera che nella grande prevalenza delle situazioni essa è una forma di sfruttamento della povertà femminile in tanta parte del mondo. Questo dovrebbe indignare la nostra coscienza, portarci a reagire, a mobilitarci contro una pratica che colpisce donne deboli se è vero che il mondo è in casa nostra e che il valore della dignità umana e della uguaglianza non conosce confini. Questa forma di sfruttamento è talmente blasfema ed indicibile da travolgere la libertà femminile e da non consentirci di fare dei distinguo, in nome della libertà, tra donne che scelgono e donne che subiscono. Il danno di quelle che subiscono tale pratica come sfruttamento ci coinvolge tutte, incatena la nostra libertà. La consapevolezza del danno arrecato a tutta l’umanità delle donne deve darci il coraggio di reagire, in nome del bene comune e della responsabilità verso se stesse e verso le altre, deve darci la forza e la determinazione di batterci perché quel brutale sfruttamento abbia fine cancellando la pratica che lo origina. Tante donne in Europa si stanno mobilitando. Cosa aspettiamo noi donne italiane a prendere parte a questa mobilitazione con il cuore indignato e con la mente preoccupata non solo per la sorte di tante sorelle ma di un bagaglio culturale, di principi, tra cui il valore della differenza sessuale, il valore delle relazioni umane a partire da quella che lega madre e figlio nel grembo materno.
Avere un figlio non è un diritto ma una responsabilità. È la realizzazione di un desiderio profondo che ha come finalità la nascita e la crescita di un altro da sé. La bellezza di mettere al mondo un figlio è che si mette al mondo un’altra persona, un altro da sé, rispetto al quale la felicità più grande è la dedizione, la cura per realizzare il suo bene. Perché non dovremmo dire queste cose ora? Perché non dirle noi che vogliamo combattere le discriminazioni verso le persone omosessuali? Perché non dirle noi e lasciare che altri strumentalizzino un tema così grande? Quando è in gioco il valore della dignità umana e dell’eguaglianza di rispetto non è lecito affermare «questo non è il momento… » tanto più se siamo consapevoli di aver perso del tempo prezioso per fare la nostra parte.