Relazione del Sen. Russo (PD), membro della Giunta per il Regolamento, per il voto palese sulla decadenza Berlusconi

Relazione del Sen. Russo (PD), membro della Giunta per il Regolamento, per il voto palese sulla decadenza Berlusconi

Senato della Repubblica – Giunta per il Regolamento

Seduta del 29 ottobre 2013

Relazione del Senatore Francesco RUSSO

 

Onorevoli colleghi,

Parto da una semplice constatazione: in questa vicenda la Giunta per il Regolamento del Senato e quindi ciascuno di noi si trova ad affrontare una questione del tutto inedita, e ciò emerge proprio dall’esame approfondito dei precedenti che utilmente ci sono stati forniti. Intanto perché è la prima volta che ci si trova a dover prendere atto della decadenza imposta dall’applicazione del c.d. “decreto (legislativo) Severino” ad un componente del Senato della Repubblica (ed è comprensibile perché, come tutti sappiamo, tale decreto fu adottato nel finale della scorsa legislatura). Inoltre, dato forse ancora più significativo, è la prima volta che questa Giunta per il Regolamento è chiamata ad affrontare un problema teorico-interpretativo sulle modalità di voto degli ordini del giorno in difformità dalle conclusioni della Giunta delle elezioni e delle immunità, ai sensi dell’articolo 135-ter, comma 2. Il contesto del tutto inedito e la materia mai affrontata in passato, ci consentono e richiedono, dunque, di lavorare qui oggi come si trattasse di scrivere su una lavagna ancora bianca, procedendo ad un’interpretazione del nostro Regolamento (che, è bene ricordarlo, non prevede una norma ad hoc sulla decadenza) sapendo che per un motivo o per l’altro, nessuno dei precedenti può riferirsi ai termini della questione al nostro esame. Anzi, si procederà a dimostrare che proprio l’analisi dell’evoluzione della prassi e delle scelte regolamentari di Senato e Camera degli ultimi vent’anni presentano un progressivo restringimento delle fattispecie cui si applica il voto segreto e ci consegnano quindi un’indicazione precisa nei confronti del voto palese. Del resto, è proprio questa la ratio di avere un organo competente ad interpretare il regolamento: ogni disposizione normativa, anche la più chiara, deve essere interpretata. Oggi, nello specifico, la Giunta è chiamata a chiarire l’espressione “votazione sulle persone” ed a stabilire per il futuro se la delibera su una proposta di decadenza sia una votazione su una persona oppure sull’applicazione di una norma giuridica che disciplina la composizione dell’organo.

 

Passando ad un’analisi più precisa, in primo luogo, credo sia utile e opportuno muovere dal noto ed importante parere reso dalla Giunta per il Regolamento del Senato il 6 maggio 1993. Nella circostanza, l’organo in cui oggi sediamo si espresse nel senso che le deliberazioni rese ai sensi dell’art. 68, commi secondo e terzo, Cost. – autorizzazione a procedere e autorizzazione all’arresto, alle perquisizioni e agli altri provvedimenti restrittivi della libertà personale – dovessero essere svolte a scrutinio palese anziché segreto. La Giunta stabilì in modo indubitabile e perentorio che per “le deliberazioni sulle richieste di autorizzazione a procedere in giudizio, il voto è svolto, d’ufficio, a scrutinio palese. E ciò in quanto le deliberazioni stesse costituiscono espressione di una prerogativa dell’Organo parlamentare nell’ambito del rapporto con altri Organi dello Stato e dunque non rappresentano in senso proprio “votazioni riguardanti persone”. In altri termini, essa argomentò nel senso che tali votazioni non andassero ad incidere sullo status personale del parlamentare coinvolto nel caso di specie, bensì riguardassero una prerogativa dell’Assemblea nel suo complesso e, come tali, fossero quindi estranee al disposto di cui all’art. 113, comma terzo, del Regolamento. È significativo che, nella seduta del 13 maggio dello stesso anno, l’Assemblea di Palazzo Madama si esprimesse con voto palese – più in dettaglio, per alzata di mano – sulla richiesta di autorizzazione a procedere contro il Senatore Giulio Andreotti, richiesta che fu approvata con voto favorevole dello stesso senatore a vita. D’altro canto, la dottrina costituzionalistica e la giurisprudenza costituzionale hanno costantemente messo in evidenza che le immunità costituzionali non sono né diritti, né privilegi dei singoli, bensì delle prerogative che l’ordinamento predispone a tutela dell’indipendenza dell’organo costituzionale (e, quindi, dell’assemblea) nel suo complesso (mi limito a citare, tra le altre, la sentenza n. 249 del 2006, nella quale la Corte osserva che «le guarentigie previste dall’art. 68 Cost. sono poste a tutela delle istituzioni parlamentari nel loro complesso e non si risolvono in privilegi personali dei deputati e dei senatori»).

 

Se, pertanto, le delibere in materia di autorizzazione ai sensi dell’art. 68 Cost. – che pure penetrano in modo importante nella sfera dei diritti e delle libertà personali – non sono votazioni incidenti sulla persona, crediamo che a maggior ragione debbano essere considerate tali ed effettuate a scrutinio palese tutte le delibere aventi ad oggetto le proposte della Giunta delle elezioni in materia di verifica dei poteri, fra cui la decadenza di cui oggi trattiamo. Esse non attengono allo status del singolo parlamentare coinvolto, bensì alla regolare composizione dell’Assemblea e, quindi, dell’organo nel suo complesso. L’intera procedura di verifica dei poteri, che l’art. 66 della Costituzione affida alle due Assemblee parlamentari, è infatti finalizzata a verificare la regolarità delle operazioni elettorali, nonché l’insussistenza di cause di ineleggibilità, incompatibilità e decadenza, prescindendo pertanto dalla dimensione soggettiva del parlamentare interessato.

 

Ora, dal punto di vista delle finalità della procedura prevista dall’articolo 135-ter, se l’Assemblea sarà chiamata a votare, essa si troverà dunque a tutelare la corretta composizione del Senato. Infatti, va sottolineato che, quando si propone la decadenza in esito alla contestazione dell’elezione, vengono in gioco soltanto la verifica della sussistenza dei requisiti di legge e dei presupposti oggettivi che consentono di rivestire la carica di Senatore. Non si discute – né tantomeno si vota – sulle qualità o le caratteristiche personali del singolo, ma soltanto sulla legittimità della sua permanenza nel mandato e, dunque, sulla legittima composizione dell’Assemblea. Questo dato decisivo è, nel caso specifico, confermato dalla trasmissione, da parte della Suprema Corte di Cassazione, di una sentenza definitiva di condanna tra i cui effetti giuridici automatici, vi è quello della decadenza determinata dall’applicazione di un atto avente forza di legge.

 

Alle medesime conclusioni si perviene analizzando le norme che disciplinano i lavori della Camera dei deputati. Ai sensi dell’art. 49, comma primo, del Regolamento, le votazioni hanno luogo infatti a scrutinio palese, salvo quelle riguardanti le persone, che sono in ogni caso effettuate a scrutinio segreto. Tuttavia, l’art. 2, comma secondo, del Regolamento della Giunta delle elezioni precisa che «le votazioni in materia di verifica dei poteri, ineleggibilità, incompatibilità e decadenza non costituiscono votazioni riguardanti persone ai sensi dell’articolo 49, comma 1, del Regolamento della Camera». Esse sono svolte pertanto a scrutinio palese. Per quanto attiene ai lavori dell’aula, inoltre, vi è una pronuncia della Giunta per il regolamento resa nella seduta del 6 giugno 2007. In tempi non sospetti, in quell’organismo, trovatosi di fronte all’esigenza di formulare l’interpretazione che oggi anche a noi viene richiesta, si affermò che le elezioni contestate concernono l’esistenza di una situazione giuridica e la sua conformità all’ordinamento, e chiamano direttamente e prioritariamente in causa la legittima composizione dell’Assemblea“. Di qui, ancora una volta, la prevalenza della natura istituzionale delle deliberazioni da adottare che non ha nulla a che fare con la singola persona, poiché questi procedimenti rispondono all’esigenza di accertare elementi di diritto oggettivo che o discendono dalla procedura elettorale, oppure si fondano sulla sopravvenuta cessazione oggettiva e inconfutabile di uno dei requisiti per coprire la carica parlamentare.

Intendo precisare, per inciso, che la vicenda che condusse la Giunta per il regolamento della Camera ad adottare, nel giugno del 2007, l’interpretazione in base alla quale il voto sulle procedure di convalida delle elezioni si effettua a scrutinio palese è del tutto identica a quella cui ci si trova di fronte qui in Senato. Infatti, alla vigilia della calendarizzazione di un voto in Assemblea, l’allora Presidente della Camera sottolineò la novità della questione che aveva di fronte come ragione fondamentale che giustificava la necessità di procedere all’interpretazione sul metodo di votazione. Anche in quella circostanza, la richiesta era pervenuta da un gruppo parlamentare di opposizione (quello di Forza Italia). Quindi, mi permetto di far rilevare per quel che mi compete, che allora come oggi la necessità di procedere all’esegesi delle norme regolamentari nasce da due elementi concorrenti: la novità della questione specifica alla nostra attenzione e l’espressa richiesta avanzata da un gruppo parlamentare.

 

 

In conclusione, gli argomenti esaminati ci portano ad affermare che le votazioni del Senato sulle proposte della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, rese a norma dell’art. 135-ter del Regolamento, non sono da considerarsi votazioni sulle persone, ai sensi dell’art. 113, comma terzo, del medesimo Regolamento. Esse devono, pertanto, venire adottate a scrutinio palese. Proprio alla luce di queste considerazioni, propongo che la nuova questione oggetto dell’interpretazione di questa Giunta sia risolta adottando il seguente orientamento:

 

“La Giunta per il Regolamento esprime il parere che, nel corso dell’esame in Assemblea delle proposte della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari riguardanti elezioni contestate, nonché sulle proposte in materia di ineleggibilità originaria o sopravvenuta, di incompatibilità e di decadenza, eventuali ordini del giorno in difformità dalle conclusioni da questa presentate siano sottoposti alla disciplina generale relativa ai modi di votazione e, non trovando applicazione l’articolo 113, comma 3, del Regolamento, siano votati in modo palese. Ciò in quanto le deliberazioni in materia di verifica dei poteri, ai sensi dell’articolo 135-ter, comma 2, costituiscono espressione della prerogativa dell’organo parlamentare riconducibile all’articolo 66 della Costituzione, in base al quale ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissibilità dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità. Una conclusione rafforzata, del resto, proprio dalla particolare natura della funzione assolta dal Senato nel giudizio relativo ai titoli di ammissibilità dei propri componenti, a tutela dell’integrità del proprio plenum e della legittimità della propria composizione. 

Ne consegue che, in analogia con quanto deciso dalla Giunta per il Regolamento il 6 maggio 1993, con riferimento all’articolo 68 della Costituzione, anche quelle previste dall’articolo 135-ter, comma 2, non possono intendersi come votazioni riguardanti persone.

Tale interpretazione entra immediatamente in vigore”.

 

Concludo con un richiamo che credo possa rassicurare anche chi teme che con questa interpretazione si rischi di uscire dal solco dei princìpi fondamentali del dettato costituzionale da cui derivano anche quelli legati al funzionamento delle Camere. Già l’onorevole Aldo Moro, illustrando il suo emendamento soppressivo della codificazione costituzionale del voto a scrutinio segreto in Assemblea Costituente, svolse un’analisi che meriterebbe di essere recuperata nella sua interezza e che si concludeva con il “rifiuto a consacrare costituzionalmente questo strumento di votazione che ha già dato luogo a tanti inconvenienti, poiché da un lato tende a incoraggiare i parlamentari meno vigorosi nell’affermazione delle loro idee e dall’altro tende a sottrarli alla necessaria assunzione di responsabilità di fronte al corpo elettorale per quanto hanno sostenuto e deciso nell’esercizio del loro mandato”. 

Onorevoli colleghi, le norme del Regolamento consentono, come abbiamo visto, di assumerci questa responsabilità in modo forte e trasparente. Abbiamo l’opportunità, pure in un passaggio non semplice come questo, di rafforzare la credibilità dell’Istituzione in cui temporaneamente abbiamo l’onore di operare e di riannodare alcuni dei molti fili spezzati negli ultimi anni fra gli italiani ed i propri rappresentanti. Sono certo che sapremo farne tesoro.

Grazie