“E’ l’inizio di un cammino verso una legge completa, che affronti il tema della cultura del rispetto verso le donne, della prevenzione, e quindi dell’educazione alla differenza di genere”. Lo afferma la senatrice del Pd Rosa Maria Di Giorgi in merito al decreto-legge sul femminicidio.
“Siamo di fronte a un tragedia sociale – sottolinea Di Giorgi – che non si può fermare solo con l’inasprimento delle pene, aspetto pienamente condivisibile, ma servono programmi di aiuto e l’apertura di centri anti-violenza per le donne in difficoltà, con una sinergia sempre più forte fra istituzioni e associazionismo, progetti formativi rivolti alle scuole, interessando insegnanti e studenti, e un profondo coinvolgimento dei media in campagne informative”.
Infine, si registra ancora una volta – conclude la parlamentare democratica – l’intollerabile atteggiamento dei 5 stelle che hanno cercato di bloccare il decreto in aula, come se la violenza contro le donne e il dramma del femminicidio non li riguardassero.”
Questo il testo dell’intervento che avevo preparato per la discussione in aula del ddl sul femminicidio. Per garantire la conversione del decreto in legge, i senatori del Pd hanno deciso di consegnare gli interventi scritti alla Presidenza , rinunciando a leggerli. Questa legge è un primo passo, importante, ma ancora non basta e al Senato è già in discussione un ddl che affronta questa tragedia anche dal lato culturale e sociale, oltre che penale.
“Il provvedimento che oggi arriva all’attenzione del Senato rappresenta un importante passaggio nella storia della nostra Repubblica. C’erano molte aspettative. Gli eventi e le statistiche relative alle donne violentate e uccise nel nostro paese fanno rabbrividire. Il Governo e il Parlamento erano chiamati ad un appuntamento non più differibile. E il Governo si è presentato alle Camere con un decreto che si colloca nella giusta direzione, un decreto che può essere letto come l’inizio di un cammino che dovrà portare a una legge completa che affronti in modo soddisfacente il tema della cultura del rispetto verso le donne, della prevenzione, e quindi dell’educazione alla differenza di genere. Poche settimane fa abbiamo esaminato e adottato la Convenzione di Istanbul, un articolato avanzato, frutto di un cammino virtuoso compiuto dall’Unione europea, un insieme di principi e azioni concrete su cui devono fondarsi le normative nazionali in questa materia. Una materia complessa da affrontare proprio perché attiene alla natura stessa dell’essere umano, alla sua percezione del rapporto con l’altro sesso e alla percezione di sé. La differenza naturale tra maschio e femmina vissuta in termini di sopraffazione, invece che di relazione feconda. La prevaricazione, la violenza e nei casi estremi il femminicidio, come suprema affermazione di potenza devastante e di annientamento della donna in quanto femmina. Alla base, ormai questo è dimostrato in studi e in indagini derivanti dai numerosissimi fatti di cronaca, la non accettazione da parte del maschio del ruolo nuovo che la donna è andata ricoprendo negli ultimi lustri, un ruolo indipendente, un ruolo che alcuni maschi non sono in grado di accettare. Si comincia con le torture e le violenze rituali del quotidiano, le percosse, le violenze verbali, il dolore fisico e psicologico, la sopportazione, quindi l’acquisizione della consapevolezza da parte della donna, la ribellione, la ricerca di una dimensione per la sopravvivenza e poi troppo spesso la tragedia, la trappola ben costruita, i figli come ostaggi, la denuncia se la donna è fortunata e riesce a difendersi in tempo, la delusione rispetto alla mancata protezione e all’insufficienza delle norme, e poi troppo spesso la morte. Storie che si ripetono, storie inascoltabili, spesso consumate alla presenza dei minori, storie che raccontano di vite spezzate, di sogni interrotti, di sofferenze indescrivibili e di sacrifici. Parlano anche di grandi solitudini, di disperazioni, di consigli sbagliati, di una cultura mediterranea arretrata e incapace di far percepire immediatamente il pericolo, e purtroppo queste storie raccontano di mamme che consigliano pazienza, che tramandano alle figlie le loro esperienze di soprusi e di silenzi, di urla soffocate e di infinita rassegnazione. E poi ecco giungere l’aggressione, quasi sempre premeditata, e per l’uomo la fine dell’incubo, la fine dell’offesa. Come uscire da tutto questo? La difficoltà dell’intervento è notevole. E certo di fronte a questa realtà l’inasprimento delle pene, che pure è condivisibile, non ha certamente un valore deterrente, soprattutto in questa sfera. Tuttavia il decreto che stiamo per approvare ha soprattutto questo carattere, ossia prevalentemente un insieme di misure volte a modificare il Codice penale. E’ solo l’inizio di un cammino, come bene viene richiesto nell’ordine del giorno che il mio gruppo presenta in aula.
Servono allora misure convincenti e soprattutto investimenti 1) nella predisposizione di luoghi protetti, gestiti dai Comuni, dove le donne in pericolo possano trovare ricovero; 2) nella predisposizione di programmi per aiutare le donne nel proprio personale percorso di consapevolezza e di liberazione dalla violenza 3) negli investimenti per la formazione degli operatori delle forze dell’ordine e per gli assistenti sociali che esaminano le situazioni di difficoltà e accolgono le donne che decidono di denunciare i propri aguzzini (quasi esclusivamente uomini che hanno avuto relazione con le stesse); 2) nella formazione degli insegnanti, perché i bambini e i ragazzi, fin dalla più tenera età, sappiano che cosa significhi essere diversi, ma complementari, che cosa significhi vivere il proprio ruolo e la propria dimensione umana nel rispetto degli altri. La scuola dovrà curare i propri studenti, in raccordo con le famiglie quando ciò è possibile, dedicando parte dei programmi scolastici proprio a questo tema che negli anni è diventato una vera emergenza. Nuovi linguaggi, nuovi pensieri che si devono declinare nella cultura di un popolo e che devono essere riconoscibili e diffusi. E per diffonderli servono idee e investimenti e risorse destinate a progetti culturali, spettacoli, film, documentari che siano dedicati a questo tema. Servono risorse per campagne pubblicitarie significative, a cura del Governo, delle regioni e degli enti locali. Una vera e propria campagna con messaggi che giungano in modo immediato. Serve una programmazione dei media che dia priorità a questa emergenza nazionale, così che la lotta alla violenza e al femminicidio diventi patrimonio comune della comunità. Servono supporti significativi alle associazioni e ai centri di solidarietà che lavorano nel territorio nazionale spesso senza alcun supporto pubblico, spesso uniche realtà disponibili per le donne e le ragazze in cerca di aiuto. Serve insomma una grande acquisizione di consapevolezza e una grande determinazione da parte dello Stato che deve sfidare se stesso e cercare di essere all’altezza del compito che gli compete, ossia quello di dare tranquillità e protezione alle donne sofferenti e di impegnarsi perché in tutte le scuole di ogni ordine e grado si tratti il tema per giungere a nuovi modelli educativi in questo ambito.
Questi contenuti devono diventare nei prossimi mesi la base delle norme che andremo a definire perchè il nostro paese si doti di una legge completa contro la violenza sulle donne e il femminicidio, una legge che sia il punto di partenza, il riferimento per la crescita di una consapevolezza nuova tra i cittadini italiani, la consapevolezza che una nazione non può considerarsi civile se alle donne non viene garantita la libertà dalla paura e il rispetto, la serenità e la gioia e la possibilità di realizzare il proprio percorso di vita dentro e fuori dalla famiglia, in solitudine o con il partner che vorrà scegliere, ma soprattutto senza doversi guardare le spalle e senza dover fuggire mai più”.