Torno mio malgrado a parlare dell’assemblea cittadina del Pd, svoltasi al circolo di Vie Nuove solo pochi giorni fa, per le polemiche che ha suscitato.
C’è chi ha pensato di affidare a una lettera un ulteriore attacco nei miei confronti ma, leggendo le sue parole, mi rendo conto ancora una volta di come i contenuti siano assenti ingiustificati e l’attenzione verso gli interventi altrui tenda ad essere minimale, se non nulla.
Di quanto ho detto nel corso dell’assemblea al Circolo Vie Nuove, viene ricordata solo una scarna citazione di “Repubblica”, dove è per altro evidente la differenza che esiste fra il sostenere che un intervento è “al limite della querela” e annunciare una querela vera e propria. Ma lasciamo perdere questa sottigliezza dialettica.
Trovo stigmatizzabile l’intervento che è stato rivolto da questa persona ai parlamentari presenti in assemblea, non tanto per le critiche, quanto perché si è trattato di un vero e proprio attacco personale nei nostri confronti. Questo ho trovato offensivo: i toni velenosi e i giudizi personali. La critica politica è cosa ben diversa.
Noi, invece, eravamo lì per discutere, per far capire come fossero andati i fatti. Pronti a confrontarci con gli elettori, con le nostre ragioni e le nostre amarezze, perché il governo di larghe intese resta pur sempre una medicina difficile da bere, anche se si ha a cuore l’interesse del Paese.
Chi mi conosce sa che sono una persona che non si nasconde, mai. Quando non condivido qualcosa lo dico e spiego le mie ragioni, anche con asprezza, con enfasi e trasporto, ma sempre nei limiti della dialettica politica. Io non mi nascondo dietro un voto segreto ma, anche in un teatro pieno di colleghi deputati e senatori, esprimo con chiarezza la mia contrarietà per scelte che ritengo politicamente dannose.
Questo era la scelta di candidare Franco Marini alla Presidenza della Repubblica: una decisione nata nel chiuso di una stanzetta, non condivisa con gli alleati e, soprattutto, con i gruppi parlamentari del Pd. Non vorrei ripercorrere qui gli errori della gestione Bersani, di cui ho già parlato in assemblea, per far capire come sono maturati certi fatti o come sia stata costruita male la candidatura di Prodi. Una candidatura in cui ho creduto e che ho sostenuto sino in fondo, ma che è stata gestita con troppa leggerezza, senza valutare la rigidità di certe posizioni e il rischio che qualcuno, nel segreto dell’urna, potesse compiere l’atto sciagurato di non votare il candidato acclamato solo poche ore prima.
C’è stata un’incapacità di fondo nella gestione di un gruppo come quello dei grandi elettori. Un organismo complesso di cui facevano parte, voglio ricordarlo, anche rappresentanti delle varie regioni. Mi viene da dire che in assenza di un nocchiero esperto o quantomeno attento, le navi fanno naufragio sugli scogli.
Questa la situazione e semplificarla non fa bene a nessuno, men che mai a questo partito dolorante. Ma forse l’obiettivo è quello più sottile e machiavellico di contendersi le spoglie della “nave”. Non si pensa a critiche costruttive, ad analisi dei motivi veri che ci hanno portato prima a perdere le elezioni e poi a sbagliare le strategie politiche, ritrovandoci in questo innaturale abbraccio con il Pdl. No, tutto questo sembra non interessare o essere marginale. Si sceglie di puntare sull’attacco verbale, sino all’offesa, sullo scontro, piuttosto che sulla ricerca di un terreno condiviso di confronto, di analisi e anche di autocritica, che permetta di ripartire con prospettive nuove. Non è la critica, meglio se costruttiva, che disturba, ma la virulenza verbale che mira a colpire in primis la persona, a svilire la figura dell’altro. Cerco di esprimermi in modo più semplice: le critiche si accettano e si discutono, le offese no.
Rosa Maria Di Giorgi