Insieme all’assessore Di Giorgi 800 tra alunni e studenti delle scuole primarie e medie
Sono trascorsi 67 anni da quando i soldati dell’Armata Rossa si trovarono dinanzi alla scritta ‘Arbeit Macht Frei’ che campeggiava sull’ingresso di Auschwitz. La scritta ‘Il lavoro rende liberi’ apriva le porte dell’ inferno al quale erano condannati ebrei, omosessuali, disabili, oppositori. Era il 27 gennaio del 1945 ed è questa la data scelta per celebrare, ogni anno, il ‘Giorno della Memoria’. Un’occasione per ricordare la Shoah e gli orrori nazisti, ma anche per ribadire, ogni anno, la condanna di una follia collettiva che ha segnato il Novecento. Una giornata che domani, a Firenze, coinvolgerà 800 tra alunni e studenti delle scuole primarie e medie della città.
Al Teatro Verdi, con inizio alle 9.30, andrà in scena ‘Zicaron’ prodotto dalla compagnia La Stanza dell’Attore con la regia di Giovanni Micoli.
Saranno presenti l’assessore all’educazione Rosa Maria Di Giorgi e rappresentanti di Aned, Anpi, della Comunità Rom e dell’associazione Ireos.
«Le iniziative di quest’anno assumono un valore particolare dopo la tragedia che ha visto a Firenze, poche settimane fa, l’uccisione per motivi espressamente razzisti di due immigrati senegalesi da parte di un fanatico di estrema destra» ha sottolineato l’assessore Di Giorgi.
Sul palcoscenico del Verdi si alterneranno vari personaggi; si va da un giovane soldato russo che è fra i primi ad entrare il 27 gennaio del 1945 ad Auschwitz ad una giovane ragazza ebrea che scoprirà in un modo tragico l’omosessualità dell’amato zio; passando dalla storia di Rukelie, campione di pugilato Sinti ucciso in un campo di concentramento ad un trombettista ebreo che non riuscendo più ad utilizzare le parole, ‘suonerà’ in faccia ai soldati tedeschi prima di essere ucciso. Ed ancora in scena si presenterà un uomo, di nazionalità tedesca, in carrozzina che inizialmente benediceva la propria invalidità non essendo così costretto a partecipare alle atrocità che il suo popolo infliggeva ad altri per poi scoprire in modo tragicamente beffardo che le assi di legno sulle quali egli apponeva la sigla della falegnameria in cui lavorava in realtà erano servite per costruire le camere a gas, realizzando quindi come anch’egli fosse stato, inevitabilmente e suo malgrado, un maledetto ingranaggio; per ultimo i pensieri di un giovane ebreo rinchiuso in un freddo treno diretto al nord. (fn)